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giovedì 26 gennaio 2012

Senza confini. Ebrei e zingari nella Giornata della Memoria


Il violino di Ion Stănescu sembra uscito fuori da quella banda multiculturale che ha reso grande uno dei film più belli dello scorso anno, Il Concerto. È davvero pazzesco il suono del suo violino. Moni Ovadia racconta che l’unica spiegazione a tale virtuosismo incredibile risiede nel fatto che solo i popoli esiliati e perseguitati, chi ha percepito il dolore sulla propria pelle, possono avere questa forza propulsiva che gli esce fuori dall’anima, così, all’improvviso. Ebrei e rom, in ciò, sono maestri. Lui, Stănescu, madre rom e padre ebreo, lo trovi primo violino nelle grandi orchestre sinfoniche della musica ungherese e rumena, così come, con il cappello in mano, a suonare musica nelle strade e nelle metropolitane delle nostre città. Solo per il piacere della musica. Così come Marian Serban, al cymbalon, altro strano strumento nato dal pianoforte ma dal suono percussivo-melodico. Marian ne è maestro: ascoltarlo nelle piazze romane è un godimento. Come folgoranti e molto gipsy sono le note di Albert Florian Mihai su una fisarmonica suonata a una velocità strabiliante, con variazioni jazzistiche e uso dei tempi dispari che fanno arrossire tanti musicisti molto più famosi di lui.
Insomma, la musica. Perché la musica, quella vera che interroga l’anima e percorre i cammini dei popoli, è una delle arti “spiritualmente nobili” che restituisce al mondo l’amore per la verità storica. Senza confini. Ebrei e zingari, il concerto-spettacolo di Moni Ovadia con la sua orchestra itinerante e sgangherata fatta di rom, ebrei e italiani in bilico tra Antico Testamento e terre del Sud, è un piccolo ma appassionato contributo alla battaglia contro ogni razzismo. Nella Giornata della Memoria, una sorta di testamento biologico. Andrebbe proiettato nelle scuole. Rom ed ebrei, i due popoli fratelli, a lungo hanno marciato fianco a fianco nella sorte, ma dopo la persecuzione nazista, le strade si sono divise. Gli ebrei hanno cambiato in meglio la loro storia, il popolo rom invece molto spesso continua a subire il calvario del pregiudizio, dell’emarginazione.
Uno spettacolo da non perdere. Un contributo sonoro che è un omaggio al gusto della libertà e alla storia, troppo spesso enunciata e poco praticata, dei diritti umani. Per una Giornata della Memoria più equa e rispettosa delle vicende storiche dell’ultimo secolo.
Un miracolo che, a volte, solo la musica riesce a fare.

mercoledì 18 gennaio 2012

De Falco-Schettino, tra realtà e finzione


Adesso che anche l’ultimo twitter o l’ultimo scambio di post su facebook ha rimandato nella case di tutti noi la drammatica telefonata tra i comandanti De Falco e Schettino nella notte del terribile incidente della nave Costa Concordia, adesso che anche nelle nostre cene, nei discorsi, nei salotti, negli uffici, nelle battute tra amici sono rimasti impressi farsa e tragedia, e quell’intercalare del tono di voce tra i due comandanti così distante e diverso, un punto bisognerà pur metterlo.
La realtà ha superato la finzione, come nei migliori film americani. Come il Titanic, come L’aereo più pazzo del mondo. È come se, per un attimo, tutti gli elementi del creato che fanno grande e straordinaria l’avventura umana si siano messi a danzare insieme superando i migliori registi di action movie. Realtà e finzione, senso del dovere e sbadataggine, altruismo ed egoismo, preparazione e insufficienza, professionalità e incompetenza, tecnologia ed errore umano: c’è tutto ciò nel dramma del naufragio della nave Concordia. Ma chi è questo Gregorio De Falco, campano come il collega Schettino, tanto per sgombrare dal campo ogni ghettizzazione razziale sull’argomento, capitato in un’oscura notte di gennaio a ricordarci che gli esseri umani sanno far di meglio, ogni tanto? Chi è, forse uno di noi? Chi è questo oscuro signore (fino a ieri), classica famiglia con due figli, che nella prima intervista raccolta dal giornale Il Tirreno ricorda i suoi marinai, nomi nascosti ai più, che si sono dati da fare per salvare più vite possibili, e subito dopo chiede: “Dimenticatevi di me”?
Certo, le riflessioni da fare sono tante. La pratica del giro a bassa costa delle navi da crociera, e non solo delle navi più grandi, è cosa nota alle capitanerie di porto. Le spiagge e le coste più belle sono prese d’assalto ogni anno da ogni tipo di barche, e ogni anno ci sono morti, senza contare il danno ambientale derivante dall’afflusso massiccio di carburante. È ora di farla finita.
La tecnologia da questa storia poi non ne esce benissimo. E l’uomo che dovrebbe guidarla addirittura peggio. Una piccola città navigante con quattromila abitanti viene spaccata in due da uno scoglio appena affiorante: c’è qualcosa che non va.
Anche se il gioco della caccia al colpevole e all’esaltazione dell’eroe di turno non ci piace, c’è da chiedersi quali siano i metodi di selezione dei propri ufficiali di un grande gruppo come la Costa crociere che affida le sue navi a capitani così poco affidabili, presi dal panico in un momento in cui invece la capacità gestionale dovrebbe essere al massimo.
Mentre il film della “telefonata” fa il giro del mondo e arriva sui teleschermi dei tg internazionali, la nave Concordia in bilico su uno spuntone di roccia, a pochi passi da un abisso di 70 metri, rappresenta la faccia ideale di quest’Italia presa, come in un set cinematografico, tra il senso del dovere e del lavoro di un De Falco qualsiasi, e il ritratto più becero ed egoista di un capitano-cittadino che se la fila a gambe levate per salvaguardare solo la sua persona.
I danni, in termini di vite umane, sono tanti. E non sono rimborsabili. Ma se, per un curioso gioco del destino, “quella” telefonata non scomparirà dai tg, passato l’evento mediatico, e risuonerà nelle nostre vite per parecchi altri giorni, forse il primo passo per una rinnovata coscienza civica questo paese potrà davvero ricominciare a farlo. Anche in memoria di chi non c’è più.