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martedì 19 giugno 2012

In silenzio per Chiara


Nei giorni scorsi ho letto parecchi post, e anche qualche articolo di giornale, sulla vicenda di Chiara, la donna di 28 anni che ha scelto di interrompere le cure per un tumore per portare a termine la desiderata gravidanza. Il bambino è nato, lei è morta.
I commenti sono tutti entusiasti. Io, semplicemente, non commento. Non oso. Per il troppo rispetto della vita umana, quella che sta per venire alla luce e quella che sta per andarsene.
Mi piacerebbe però che questa felicità e questa tragedia fossero restituite al rispetto e alla solitudine di chi le vive. Non abbiamo il diritto di pensare alcun ché, né lasciarsi sfiorare dall’idea che scelte così forti dettati dalla propria coscienza possano essere sventolati come ethos (possibile) comune.
Io sto con il silenzio. Un laico e religioso silenzio.

venerdì 8 giugno 2012

Di padre in figlio, il filo della fede

Le parole di don Tonino Bello fanno pensare. Anche rabbrividire. La sua profezia ti entra nelle ossa e non esce più. La sua bellezza arcaica ti accarezza l'anima e non ti lascia più. Non dobbiamo quindi sorprenderci se Rosy Bindi e Nichi Vendola, due giorni fa, alla libreria Feltrinelli di Roma, abbiano raccontato don Tonino con il gusto per il ricordo di una persona che ci manca e con la certezza che la sua testimonianza profetica oggi sia per tutti noi occasione di nuovo umanesimo.
Mi viene da pensare al peccato di omissione di "buona speranza" che in questi anni questo Paese ha compiuto contro se stesso. Dobbiamo davvero ricominciare da lì: trasmettere, di padre in figlio, questo sottile filo rosso che accomuna la storia degli uomini e delle idee che hanno incarnato il bene e il sogno di un'Italia migliore. Una "buona speranza", laica e cristiana insieme, fede e bene comune, bellezza del creato e rispetto delle regole.
Abbiamo davvero perso del tempo, rincorrendo facili chimere al passo con i tempi.
Ricominciare da lì, dalla terra dei nostri padri, dal "gomitolo dell'alleluja", come avrebbe detto il mio maestro Paolo Giuntella.
Ostinatamente. In direzione ostinata e contraria (al vento di oggi). Ritessendo memoria collettiva e tessuto civile, diritti e doveri di cittadinanza. E non possiamo nemmeno permetterci il lusso di perdere altro tempo.
Io ci credo.

lunedì 4 giugno 2012

E meno male che c'è Benedetto...


Lo scorso 16 aprile Benedetto XVI ha compiuto 85 anni. Tre giorni dopo, il 19 di aprile, ha festeggiato sette anni dalla sua ordinazione al soglio di Pietro. Un pontificato già lungo e importante, considerando l’età del papa, e pienamente immerso in un tempo di “transizione” con il quale la Chiesa e la società stessa stanno facendo ancora i conti.
Gli esperti di “cose” vaticane cercano di leggere tra le pieghe del magistero del papa le future mosse del pontificato, ma questo papa, il fine teologo tedesco e il più importante collaboratore di Giovanni Paolo II, ogni volta sorprende i suoi interlocutori e, spesso, la stampa specializzata. E chi tenta di catalogarlo come espressione di un solo pensiero e di un solo modo di agire, sbaglia di grosso. Al mondo cattolico progressista-riformatore, quello in gran parte vicino alle posizioni di chi pensa che il Concilio Vaticano II sia stato per la Chiesa un tempo di vera discontinuità con la tradizione, piace molto il papa teologo e pensatore, quello che scrive i messaggi, i libri, legge le omelie e quello che non ha avuto paura di affrontare il problema dei preti pedofili. Meno, ovviamente, il papa che tratta con i lefebvriani, che liberalizza la messa in latino, che ha più di mille cautele quando la curia annaspa tra mille polemiche o quando deve prendere decisioni in merito allo strapotere dei movimenti ecclesiali che, sotto il suo predecessore, avevano ampia libertà di agire in modo indisturbato. Ai tradizionalisti-conservatori, invece, per tanti anni in grande spolvero sotto la mano protettrice di Wojtyla, questo papa va bene se non si interessa troppo degli affari di curia, se benedice il latino, se non si impiccia dei movimenti ecclesiali, se condanna il Concilio Vaticano II. Se, insomma, lascia correre questo tempo di transizione senza troppo nuocere allo status quo ecclesiale-teologico-pastorale avvenuto dopo la morte del papa polacco. I conti, pensano, se vanno fatti, è meglio farli al prossimo conclave.
In realtà, come è facile dimostrare, Benedetto XVI ha sorpreso parecchio i suoi estimatori e i suoi eventuali detrattori. Sia in ambito cattolico che laico. Tutti gli riconoscono grande finezza intellettuale: l’essere capaci, oggi, di parlare di Gesù a questa società contemporanea non è così semplice. E lui lo fa, costantemente. Con passione e rigore teologico. Chi approfitta di alcuni errori, privati e pubblici, degli uomini di Chiesa per dare la colpa solamente al papa, sa che è in difetto. Tutti sanno, ad esempio, che la situazione degli abusi sessuali non è questione di questo pontificato. Certi atteggiamenti, non certo approntati a sobrietà e rigore morale oltre che a carità cristiana, appartengono a un passato dove tutto era possibile e dove parecchio era permesso.
Per considerare, dunque, questo, un papato di “transizione” ce ne vuole. In sette anni Benedetto XVI ha compiuto 23 viaggi internazionali, 27 in Italia, ha scritto tre encicliche Deus caritas est nel 2005, Spe salvi nel 2007 e Caritas in veritate nel 2009), parlando di Cristo e di un uomo che dovrebbe percorrere di nuovo la strada di un innamoramento per il Figlio di Dio. Il libro Gesù di Nazaret ne è la riprova più evidente. Ha riformato la leggi finanziarie della Chiesa per allinearla agli standard di trasparenza internazionali. Ha indetto quest’anno un anno della fede, istituito un Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione e si appresta a celebrare i 50 anni dal Concilio Vaticano II. Insomma, un papa forse non in perfetta forma fisica per via dell’età, ma pronto ancora a impegnarsi come un “contadino nella vigna del Signore”.
Ci sono però due atteggiamenti dell’attuale pontefice che ci piace segnalare, e che paiono entrambi profetici. Senza dubbio Benedetto XVI ha introdotto nella vita curiale uno stile sobrio e riconoscibile. Rispetto agli scandali, agli intrallazzi e ai comportamenti privati poco limpidi che nulla hanno a che fare con la storia millenaria della Chiesa e che ci sono, ci sono stati e hanno avuto come principali comparse i presbiteri, ebbene di fronte a ciò il papa attuale appare come una montagna, fiera e bella, che aspetta i tempi della fioritura dopo l’inverno burrascoso. Al papa piace parlare di Gesù. Nient’altro. Può essere questa una colpa?
Il secondo aspetto di questo pontificato, forse meno visibile ai credenti, è l’aver “detronizzato” (per usare un termine forte) il soglio di Pietro. Il papa non è più, come nel caso di Giovanni Paolo II, un monarca, un re a cui tutti dovevano formale obbedienza. Qui, la cosiddetta e presunta “debolezza” di un papa a cui piace discutere ascoltare, mettersi in discussione con la sua Chiesa e con il resto dell’umanità non solo è il ritratto di un pensare laico e cristiano sull’uomo che ha una sua eleganza e importanza, ma anche il presupposto, per ora nascosto, di un pensiero sul ministero petrino che sostituisce l’autorità all’ascolto, il potere al dialogo, la rigidità al sorriso.
Che sia capitato di portare questa “croce” all’inossidabile card. Ratzinger, inflessibile capo dell’ex Sant’Uffizio, non dovrebbe sorprenderci. Perché è la prova evidente di una Chiesa che sa rimettersi in gioco e riconciliarsi con il mondo.

(l'articolo è stato pubblicato sul numero di giugno de L'Eco di San Gabriele)