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giovedì 17 luglio 2014

Adiòs, Juve


Vedete, cari amici non juventini, voi non sapete cosa significhi “juventinità”. Non ne avete mai assaggiato il sapore, un misto di odori che vanno dalla stirpe regale sabauda degli Agnelli all’anima popolare di Furino, Brio, oggi Tevez. Semmai lo avete maldigerito come un fritto maleodorante di rigori rubati, goals fasulli, arbitri venduti. Almeno secondo voi.
Già, sempre così. È quello che spetta, in fondo, ai vincenti: la dura legge dell’invidia. Voi non avete avuto Gaetano Scirea, Marco Tardelli, Dino Zoff e le roi Michel Platini. Il popolo e la borghesia illuminata, la cultura del lavoro in fabbrica e l’artista che dipinge l’opera. Voi non avete avuto il signor Boniperti, e il fischio “alla pecorara” di Trapattoni. Voi non avete avuto la prima della stagione a Villa Perosa, con Gianni Agnelli che regalava alla stampa e al popolo affamato di gossip, le battute e gli appellativi che duravano un anno. Ve li ricordate? Su Baggio, “coniglio bagnato”, su Del Piero, “il pinturicchio”, fino ad Egdar Davis, “se lo incontro di notte da solo, cambio strada”. Noi sapevamo già in anticipo come sarebbe finito il campionato: a Villar Perosa, nella residenza degli Agnelli, il vaticinio dell’Avvocato era la sola notizia di calcio mercato che ci interessava. Potenza dei segni.
Si, è vero, ci è capitato Moggi, l’anti juventino per eccellenza. E molti, per spirito di juventinità, durante il suo assedio, hanno abdicato al ruolo di tifoso. Lo fece prima di tutti il padre-padrone, l’Avvocato, che diede inizio, sì, proprio lui, a calciopoli, con qualche notizia riservata ai giornali. Sapeva del rischio della serie B, forse la C, ma non sopportò l’idea di regalare alla Juve un destino amaro. E così fu. Un sacrificio che nessuno dimentica.
Voi non sapete di Antonio Conte, dell’anima salentina venuta a battere i campi incolti del nuovo stadio dopo aver solcato, con gambe da zappatore e piedi da mediano col fiuto del goal, i fasti dell’antico Comunale. Noi già lo sapevamo: avremmo vinto con lui. E così fu.
Di juventinità si nasce, non si diventa. La pelota nella Juve è reale e popolare, qualche volta persino anarchica, come il marsigliese-algerino Zinedine Zidane. Vallo a far capire agli altri tifosi: impossibile!
Oggi, con mister Allegri, la juventinità si prende una pausa. È successo altre volte. Nulla di eccezionale. Ma tornerà a risplendere, prima o poi: ha un conto aperto con il destino.