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martedì 3 febbraio 2015

Il ritorno del cattolicesimo democratico

L’elezione di Mattarella porta all’attenzione dell’opinione pubblica il tema politico e, direi, civile ed etico, dell’importanza del ruolo assunto dal cattolicesimo democratico nei confronti di questo Paese. Una cultura profondamente attenta ai valori della Costituzione italiana e che ha avuto anche, sul versante ecclesiale, un notevole effetto persuasivo in quella ventata riformatrice che fu il Concilio Vaticano II. Ma una cultura che è stata devastata e mortificata, allo stesso modo, dal ventennio berlusconiano e da una non felice congiuntura storico-politico-ecclesiale che ha messo in simbiosi il potere berlusconiano con il duo, allora dominante, Wojtyla-Ruini.

Il bene comune? Parola da dimenticare, adatta ai convegni nostalgici. Lo stato sociale, il welfare? E che ci importa. La democrazia sostanziale? Meglio le passerelle dove fanno lustro l’estetica del falso (spesso in bilancio). La Chiesa? All’assalto del mondo, in difesa (solo nominalmente) della famiglia e dei suoi valori irrinunciabili, e data in pasto per lunghi anni ai movimenti ecclesiali, gli unici in grado di controllare, con la leadership dei fondatori, democrazia ecclesiale e adattabilità alle diverse esigenze di politica ecclesiale.
Eppure, nonostante tutto, l’idea che la democrazia faccia rima con eguaglianza e diritti, oltre che con libertà e garanzia, ha continuato, in silenzio, ad appassionare giovani e cittadini qualunque, grazie anche al merito di un’associazione ecclesiale come l’Azione cattolica, l’unica in questi anni ad aver continuato a investire sulla formazione delle coscienze e su un’idea di democrazia che avvicinasse vangelo e vita. Ovviamente, anche l’Azione cattolica, messa ai margini per lungo tempo dal dibattito politico ed ecclesiale…

Sono stati anni difficili. Le parrocchie chiuse al dialogo e a un discorso inclusivo con le varie realtà territoriali ed ecclesiali, i parroci paurosi del potere dominante, la Chiesa alla fine quasi schiava dell’effimero e della mediazione temporale con il potere, la politica asfittica che raramente ha saputo coniugare le istanze più alte della Costituzione con le scelte degli uomini, dei parlamentari e dei governanti. Insomma, un disastro. Ma, sotto sotto, come il seme evangelico che muore e porta frutto, la pianta ha saputo germogliare e prendere vita.
La lunga transizione italiana verso la modernità e la compiutezza democratica ha avuto, dunque, anni difficili. Mi ricordo quando, da ragazzo, andavo a tutti gli appuntamenti estivi di Brentonico della Rosa Bianca e a quelli della Lega democratica seguendo il mio maestro Paolo Giuntella (che ora, giustamente, starà brindando in paradiso con Vittorio Bachelet, Roberto Rufffilli e Pietro Scoppola). Sembravamo dei marziani, perché poi, nell’atto di attualizzare i nostri sforzi e le cose apprese nei territori di appartenenza (quartiere, parrocchia, partito, scuola, università…), eravamo ghettizzati e messi in un angolo. Però, poi, quella stagione ha messo radici nelle nostre vite, nelle famiglie, nelle relazioni.
Oggi, per una straordinaria congiuntura civile, politica ed ecclesiale (c’è anche papa Francesco, a quanto pare…) il cattolicesimo democratico torna a essere una cultura “a servizio” dell’Italia. Una possibilità di futuro diverso per il nostro Paese dovuto anche all’abilità di Matteo Renzi, così (apparentemente) lontano, anche fisicamente, dai fondatori storici del cattolicesimo democratico.

Ma qui, sta la sfida prossima. Gli anni sono passati e anche il cattolicesimo democratico può essere oggi, ancor di più, con i suoi morti ammazzati dal terrorismo e dalla mafia e con le sue intelligenze messe da parte dal potere dominante e da carriere facili, l’architrave di una idea di democrazia che, insieme ai diritti e alle libertà personali, riconosce nell’Altro una possibilità di crescita democratica.
E bisogna riconoscere che chi, anche all’interno di questa cultura, non ha saputo riconoscere in tempo il cambiamento impersonificato da Matteo Renzi, ha forse peccato di superbia intellettiva (questa sì, un po’ il vizio di alcuni catto democratici…).
Oggi è tempo nuovo. Per il Paese, e per la cultura cattolico democratica. L’elezione di Mattarella dimostra che i tempi nuovi della politica possono andare d’accordo con una storia che ci riguarda tutti e che ha dato vita a Costituzione e Concilio.

Mi sembra già questo un’ottima notizia.

martedì 27 gennaio 2015

La Grecia e il new deal che serve all'Europa


Comunque la si giudichi, la netta vittoria della lista Syriza in Grecia e del suo leader Alexis Tsipras, costituisce una novità importante nello scacchiere geopolitico europeo. C’è dunque il nuovo premier greco, il più giovane degli ultimi 150 anni. Ma c’è anche una nuova politica e un nuovo modo di intendere le ragioni della sinistra, lontane mille miglia dalle suggestioni del passato. Forse, a spaventare le cancellerie di mezza Europa, c’è più questo che non lo svincolarsi dalla zona-euro da parte della Grecia, possibilità oggettivamente assai improbabile.
Dalla Grecia arriva una ventata daria nuova in senso riformatrice. Il voto contro lausterità, certo aiutato da una situazione economica-sociale deprimente, è stato forte e chiaro e, a sentire il programma elettorale di Tsipras, ci sono tutte le condizioni, politiche ed economiche, per far uscire la Grecia dal circolo vizioso dellausterità e far tornare a crescere lEuropa.

Ma, in realtà, cose in bolle in pentola nellinfuocato territorio greco, preda negli ultimi anni di speculazioni e un debito pubblico altissimo, con una situazione sociale al limite della disintegrazione e con le agenzie di rating che hanno collocato la Grecia a livello di spazzatura?
Dalla Germania si è già fatta sentire la voce del presidente della Bundesbank, intenzionato a far rispettare gli impegni internazionali e il programma di salvataggio del Paese, sostenuto dalla cosiddetta Troika, cioè Ue, Bce e Fmi. Dallaltra parte c’è un programma elettorale fin troppo chiaro: il taglio del debito da trattare con lUe, laumento delle pensioni e degli stipendi, il taglio delle tasse.

Lidea che la ripresa economica non si basi solo su una politica neoliberista e restrittiva e abbia, invece, altre possibilità di sviluppo in una direzione post-keynesiana soprattutto nelle aree del Sud Europa, è stata più volte condivisa anche dal nostro presidente del Consiglio, Matteo Renzi. E, in questo, la vittoria di Tsipras va nella direzione voluta da Renzi.

Una buona fetta dellopinione pubblica europea e larghe fasce popolari non ne possono più della politica di austerity targata Germania, anche perché è fin tropo evidente che tali politiche funzionino meglio in paesi dove il vincolo di bilancio è, più che una legge, unidea largamente entrata a far parte della coscienza di quei popoli. E, nello stesso tempo, la vittoria di Tsipras nella piccola Grecia potrebbe diventare invece in breve larchitrave di politiche di bilancio e monetarie europee lontano dai desiderata degli attuali cancellieri e grandi burocrati che detengono le chiavi del potere in Europa.

Tsipras vuole poche cose, ma tutte assai chiare alla Troika: cancellare la maggior parte del valore nominale del debito pubblico; includere una clausola di crescita nel rimborso della parte restante del debito in modo che il pagamento degli interessi sia finanziato dai progressi del Pil e non con nuovo debito; includere una moratoria al pagamento degli interessi per finanziare investimenti; escludere gli investimenti pubblici dai vincoli del Patto di stabilità e di crescita; avviare un new deal europeo di investimenti pubblici finanziati dalla Banca europea per gli investimenti; aumentante gli investimenti pubblici di almeno 4 miliardi; ripristinare stipendi e pensioni in modo da aumentare i consumi e la domanda; investire in conoscenza, ricerca e nuove tecnologie, al fine di far rientrare i tanti cervelli greci emigrati allestero; e, infine, ricostruire lo stato sociale e lo stato di diritto grazie alla meritocrazia.

Dallo sgangheratissimo Sud Europa (Portogallo, Spagna, Italia, Grecia, anche Francia), che più ha risentito della crisi economica internazionale, sta arrivando unidea diversa di politica economica, più attente alle ragioni del welfare, dei diritti, della solidarietà e orientata verso uno sviluppo economico orizzontale condiviso dalla popolazione.

Insomma, più politica e meno moneta. Più redistribuzione del reddito, meno banche centrali. Più meritocrazia, meno assistenzialismo. Non è una rivoluzione, ma poco ci manca.
LEuropa è avvertita. Non abbiamo la sfera di cristallo per immaginare cosa succederà, ma la storia insegna quanto lottimismo della politica sia capace di fare da volano a una recessione economica che, almeno fino ad adesso, non accenna a placarsi.